Il petrolio continua a sgorgare in quantità spaventose dai fondali del Golfo del Messico; potrebbe presto rivelarsi il più grande disastro ecologico della storia mondiale.
Forse non riusciremo mai a far pienamente luce sulle cause della tremenda esplosione che ha distrutto la piattaforma “Deepwater Horizon”. Tra le probabili cause vi sono una falla nel cemento che ancorava la piattaforma al fondale ed un dispositivo anti-esplosioni disattivato.
Ma sulla causa a monte di tutto questo non ci sono dubbi: la corsa delle multinazionali allo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio nelle zone più remote della Terra.
Gli Stati Uniti si sono affacciati all’era degli idrocarburi con immense riserve di petrolio e gas, il cui sfruttamento è stato uno dei motori della crescita economica e dei conseguenti profitti da capogiro di giganti dell’energia come Bp ed Exxon. Nell’epoca pionieristica dei pozzi di petrolio esplosioni e fuoriuscite incontrollabili erano di norma. Ma anno dopo anno le compagnie hanno imparato a gestirli con nuove tecnologie. Ora, in questa frenetica corsa ai giacimenti “difficili”, si è tornati a queste “esuberanze” del petrolio.
Bp stava spingendo da qualche anno le ricerche sempre più in profondità. Il pozzo esploso (Mississippi Canyon 252), partiva da un fondale a 1500 metri di profondità e scendeva per altri ben 4000 sottoterra!
Materiale scadente e scarsi controlli hanno giocato forse un ruolo decisivo in quest’ultima catastrofe ambientale. La ragione a monte è la sfrenata corsa a pozzi in regioni pericolose, “necessari” per tentare di compensare il declino delle riserve convenzionali.
Finché prevarrà questa spinta compulsiva altri disastri non tarderanno ad arrivare!