Da Davide Zaccaria

Un Castor, container cilindrico per il trasporto di scorie nucleari. Foto GETTY (The Telegraph)

In queste ore, gli attivisti antinucleari di varie zone del Piemonte si stanno mobilitando contro il trasporto di scorie nucleari verso la Francia, che sarebbe previsto a breve. Questo tipo di traffico è molto contestato, non solo per l’opportunità di mandare avanti e indietro delle potenziali bombe ecologiche al fine di un riprocessamento di dubbia utilità, ma anche per il mancato avviso ai comuni attraversati dal convoglio. Ogni anno, di notte e più o meno in segreto, una dozzina di convogli attraversa campagne, montagne e centri abitati, per arrivare al centro di trattamento di La Hague.

Sebbene la legge regionale 5/2010 preveda una comunicazione preventiva alle popolazioni, per informarle sui rischi e sui provvedimenti da adottare per tutelare la salute e far fronte a un eventuale emergenza radiologica, sui convogli di scorie radioattive si cerca sempre di mantenere il segreto. Di conseguenza, i cittadini che si trovano lungo il percorso non sono informati sui rischi, e tanto meno sono preparati a reagire prontamente e adeguatamente ai pericoli derivanti da un’eventuale incidente nucleare.

Uno dei problemi, non trascurabile, è il fatto che la schermatura dei vagoni non è totale.

Stando ai dati forniti da Areva, multinazionale francese che opera in tutti i campi dell’energia nucleare, compreso il trasporto, a una distanza di zero metri dai vagoni si è esposti a una dose di 2mSv/h. Il Sievert (Sv) è una misura della dose di radiazione assorbita, e per il personale delle ferrovie e gli agenti di scorta ai convogli, la soglia massima da non superare per legge sarebbe di 1mSv/anno, anche se la Commissione Internazionale di Protezione Radiologica (ICPR) per le esposizioni da un’unica fonte raccomanda un valore di 0,3 mSv/anno come valore di riferimento. Se un operatore si appoggia a un vagone di scorie, in mezz’ora assorbe la sua dose massima annuale.

L’esposizione alle radiazioni diminuisce in funzione del quadrato della distanza, per cui a una distanza di due metri la dose è di 0,1mSv/h. In 10-15 minuti, si assorbe una quantità di radiazioni paragonabile a quella di una radiografia al torace. Sostare per un’ora a due metri da un treno radioattivo equivale a farsi 5 foto RX ai polmoni.

L’esposizione alle radiazioni ha già scatenato molte proteste da parte dei sindacati dei ferrovieri francesi, anche perché in passato non sono state fornite informazioni adeguate . Ignari dei rischi, molti ferrovieri pranzavano addirittura appoggiati al treno, per sfruttare il calduccio prodotto dalle radiazioni. Peccato che il caldo non era l’unica cosa che usciva dai vagoni.

Un altro rischio non da poco è la possibile fuga di materiale radioattivo, in caso di incidente grave. I vagoni hanno delle protezioni speciali, per reggere a un impatto con un altro treno o a una caduta da 10 metri. Lungo il percorso però ci sono dei precipizi, e in caso di esplosione o di fuga radioattiva, le conseguenze potrebbero essere disastrose. I convogli possono resistere a un calore di 800 gradi per mezz’ora, ma durante l’incendio nella galleria del Monte Bianco la temperatura raggiunse i 1000 gradi per diverse ore. Lungo il percorso da Saluggia a La Hague, non mancano certo le gallerie.

Chiaramente, una cosa da non fare mai è avvicinarsi a un treno di scorie radioattive, e naturalmente è una pessima idea anche obbligare il treno a fermate non previste e non adatte allo stazionamento, soprattutto nei pressi dei centri abitati.

In caso di incidente grave con conseguente fallout radioattivo, il protocollo prevede diverse fasi di intervento. La prima fase comprende il soccorso delle persone più esposte, il controllo degli accessi all’area contaminata, l’evacuazione delle aree più a rischio. Come però si possa pensare di provvedere a un’evacuazione ordinata di persone ignare di tutto, per di più in piena notte, senza fornire alcun tipo di informazione e di pre-allerta, nei manuali non c’è scritto.

Fonte: testelibere.it